lunedì 30 luglio 2007

notturno, o del carico gravoso/1


mille volte ho già ricominciato a scrivere

in realtà sono quattro o cinque, ma mille fa vissuto, letterario, e anche un po' biblico

e, comunque, sembrano davvero mille volte

ma nessuna confessione azzarda a far capolino

sospetto che con l'età certi difetti congeniti si amplifichino

alcuni spariscono

ma quelli che rimangono pare siano i peggiori, e non è una bella constatazione

parlo per me, ovviamente

vedete, la balbuzie è un comico "difetto"

fa ridere, materia di barzelletta e di personaggi, anche di un certo livello (il Barbouillé di Molière, Arlecchino, per dirne due a caso)

un tempo ridevo anche io guardando i cartoni animati di Dastardly & Muttley che davano la caccia al piccione viaggiatore. c'era un personaggio, Klunk, che parlava facendo smorfie esagerate, balbettando, risultando davvero incomprensibile. beh, cazzo, ridevo, quando Dastardly alla fine chiedeva irritato "cos'ha detto...cos'ha detto!!?", perché era un po' il genio della scalcagnata truppa, quindi positivo, in fondo.

poi ho scoperto di essere compagno di personaggi (reali) di un certo spessore (anche qui a caso, Newton, Manzoni, Churchill, Marilyn Monroe, è molto tardi e non mi dilungo...)

chi balbetta non è uno stupido, balbettare non è indice di cretinaggine, altrimenti, beh, saremmo in numero enormemente superiore

i veri cretini si mimetizzano perfettamente

e tutti hanno un bel dire sulle virtù dell'autoironia, a fare raffronti su dolori veri e dolori immaginari, su croci reali e croci di comodo. è l'esperienza, e l'esempio, che contano.

certo, non posso dire di brillare per capacità di sdrammatizzazione

però sono ostinato, ne ho provate tante.
ancora girano i miti del sassolino di Demostene, del "parla piano", dello "stai calmo". per anni mi sono affannato con un "metodo" che, nelle intenzioni dei venditori, avrebbe dovuto portare gradualmente da una salmodia ad una parlata "normale", con regolette auree del tipo "tenere la bocca semichiusa", "allungare tre volte le vocali", "sorvolare sulle consonanti", insomma, scienza pura e fine psicologia, iniezioni di autostima, mica palle. e, soprattutto, al primo tentativo post-corso di ordinare un caffè al bar, ritorno in grande stile di smorfie, gorgoglii e qualche sputo.

la versione breve è che ci sono voluti undici anni di analisi di gruppo, con cadenza bisettimanale, per iniziare a sbrogliare la matassa.

"iniziare a sbrogliare", ho detto. non guarire.

non c'è "guarigione". ci sono giorno in cui non c'è niente da fare. si impara a conviverci, con i sorrisetti di sufficienza o di disagio, dei camerieri, dei professori, degli imprenditori o degli operatori telefonici. la balbuzie è contro i conflitti di classe. anzi, contro i conflitti in genere.

la balbuzie è anarchica e acuta, intuitiva.

eppure in certi momenti riscopro una sofferenza profonda, mai completamente sopita, nonostante gli anni di analisi e di terapie, gli sforzi, il crescere, gli studi, il lavoro, gli amori

è come se l'inciampo in un bel discorso mi ricordasse che sto sbagliando qualcosa

a volte, penso, magari è solo che sta per cambiare il tempo, come un callo torna a dolere

eppure, forse per la mia sensibilità, purché non sembri un complimento, non riesco a farci l'abitudine

prima o poi scoprirò il segreto, che è il mio segreto

la cosa chiamata poesia/6

PENSO CONTINUAMENTE

Penso continuamente a coloro che furono veramente grandi.
Che, dal grembo materno, ricordavano la storia dell'anima
per i corridoi di luce dove le ore sono Soli,
senza fine e melodiosi. Che bella ambizione
avevano di far parlare le loro labbra, ancora impresse
dal fuoco dello Spirito, vestiti da capo a piedi di canto.
E che accumulavano dai rami di primavera
i desideri che cadevano attraverso i loro corpi come fiori.

Cosa preziosa è non dimenticare mai
la gioia essenziale del sangue attinto a sorgenti senza età
che sgorga dalle rocce in mondi prima della nostra terra.
Mai negare il suo piacere nella luce semplice del mattino.
Mai la sua grave richiesta serale d'amore.
Mai lasciare che il traffico gradualmente attenui
nel frastuono e nella nebbia la fioritura dello Spirito.

Vicino alla neve, vicino al sole, nei prati più alti,
guarda questi nomi accolti in festa dall'erba ondeggiante
e dalle vele della bianca nuvola
e dai sussurri del vento nel cielo teso in ascolto.
I nomi di quelli che vivi si batterono per la vita,
che portarono nel cuore il centro del fuoco.
Nati dal sole, viaggiarono per qualche tempo verso il sole
e lasciarono nell'aria vivace il segno del loro onore.


MAI NELL'ESSERE, MA SEMPRE SULL'ORLO DELL'ESSERE

Mai nell'essere, ma sempre sull'orlo dell'Essere,
la mia testa - Maschera Funebre - è portata nel sole.
Con l'ombra che punta il dito attraverso la guancia,
muovo le labbra per gustare, muovo le mani per toccare,
ma non giungo mai più vicino del tatto
sebbene lo Spirito si sporga per vedere.
Nell'osservare rosa, oro, occhi, un paesaggio ammirato,
i sensi rilevano l'atto del desiderare,
desiderano essere
rosa, oro, paesaggio o altro.
Reclamo la pienezza nel fatto d'amare.

Stephen Spender, Poesie, Mondadori

sabato 28 luglio 2007

massime


al mio consulente bancario, coetaneo quindi giovane e simpatico, ieri, nel corso di una informale conversazione esistenziale, è sfuggita l'affermazione che "la vita di coppia può essere proattiva".
non me lo sarei mai aspettato.
con composto dolore apprendo la notizia.

venerdì 27 luglio 2007

la cosa chiamata poesia/5

Frank Drummer

Da una cella a questo luogo buio -
a venticinque anni la fine!
Non avevo le parole per dire cosa mi si agitasse dentro
e il villaggio mi prese per idiota.
Eppure l'idea iniziale era chiara,
un disegno grandioso e assillante nell'anima
che mi spinse all'impresa di imparare a memoria
l'Enciclopedia Britannica!


Minerva Jones

Sono Minerva, la poetessa del villaggio,
fischiata, schernita dagli Yahoos della strada
per il mio corpo goffo, l'occhio guercio, il passo barcollante,
e tanto più quando "Butch" Weldy
mi prese dopo una caccia bestiale.
M'abbandonò al mio destino dal dottor Meyers;
e sprofondai nella morte, col gelo che mi saliva dai piedi,
come a chi s'immerga più e più in un fiume di ghiaccio.
C'è qualcuno che vada al giornale,
e raccolga in un libro i versi che scrissi?
Ero così assetata d'amore!
Ero così affamata di vita!


Sarah Brown

Maurice, non piangere, non sono qui sotto il pino.
L'aria mite della primavera sussurra nell'erba dolce,
le stelle scintillano, il caprimulgo chiama,
ma tu ti rattristi, mentre la mia anima è rapita
nel Nirvana beato della luce eterna!
Va da quell'anima gentile di mio marito,
che rimugina su quello che lui chiama il nostro colpevole amore : -
digli che il mio amore per te, non meno del mio amore per lui,
ha forgiato il mio destino - che attraverso la carne
ho raggiunto lo spirito, e attraverso lo spirito, pace.
Non ci sono matrimoni in cielo,
ma c'è amore.


Theodore il poeta

Da ragazzo, Theodore, te ne stavi lunghe ore
sulla riva del torbido Spoon
a fissare con gli occhi incavati la tana
del gambero,
in attesa di vederlo, mentre spinge avanti,
prima le antenne ondeggianti, come festuche,
e poi subito il corpo, color steatite,
gemmato con occhi di gaietto.
E ti chiedevi rapito nel pensiero
cosa sapesse, cosa desiderasse, e perché mai vivesse.
Ma poi il tuo sguardo si volse agli uomini e alle donne
che si nascondono nelle tane del destino in grandi città,
per veder uscire le loro anime,
e così capire
come vivessero, e per che cosa,
e perché s'affannassero tanto a strisciare
lungo la strada sabbiosa dove manca l'acqua
quando l'estate declina.


Edgar Lee Masters (1869-1950), Spoon River Anthology (Antologia di Spoon River), ed. BUR

martedì 24 luglio 2007

trasgressioni

per la prima notte delle due di "libertà" dalla moglie, avevo deciso di fare qualcosa di mai fatto prima, e lasciatemi divertire...ma gli imprevisti...
li avevo visti, al bordo erboso e sassoso della strada, che chiedevano un passaggio
quasi l'una di notte, ad abbiategrasso, però, ed avevo ormai voglia di forzare il mio perbenismo latente facendo due chiacchiere con quella bella peripatetica fiammante giù dal ponte, sempre che stanotte sia lì
però
però mi sono fermato, ho fatto inversione, li ho caricati e addio puttana
"ciao, cosa vi è successo?"
"oh, grazie! abbiamo fuso la macchina, ma a quest'ora non esistono più treni né taxi, incredibile nel 2007"
incredibile mica tanto, mi dico, ma
"eh, già, dove dovete andare?"
"valenza po"
salgono. lei capelli medio lunghi, sui trent'anni, lui sui cinquanta. lei si siede al mio fianco, lui dietro. sembrano stanchi e non so se fumati o bevuti. come me.
"lontanuccio. fino a vigevano posso portarvi. c'è un albergo"
lei e lui si guardano. lei dice
"magari ci fermiamo in stazione e prendiamo il primo treno domattina. sinceramente non sono in condizione di pagare un albergo. e oltretutto sono senza documenti"
uhm. sono tranquillo, sarà per l'effetto del vino e delle due birre bevuti da poco. se solo sapessero che li ho barattati con una potenziale marchetta...però voglio in cambio un briciolo di verità.
"non fate cazzate, faccio kung-fu. come mai sei senza documenti?"
"li ho lavati con i pantaloni"
se sono malviventi, sono pure scemi, sarà per questo che, in fondo, credo siano in buona fede. scemi, ma in buona fede. poi, su radio3 c'è uno speciale su John Coltrane, posso morire felice.
mi chiedono se posso portarli a casa. lo avevo già pensato io, una volta scrutati nel visibile e nell'invisibile, ma fingo di pensarci. per un attimo tocco l'italia che, almeno in queste zone, ha perduto ogni traccia di ospitalità, fiducia, apertura, coraggio e amore per l'uomo. tanto da farmi sentire trasgressivo nel dare un passaggio a due disgraziati, e stancamente conformista a fare il puttan-tour, o un droga-party, o un corona-day.
attraversiamo i paesi della lomellina, strade deserte a finestrini spalancati, racconti e note soffuse, surreali. i due progettano di partire per il messico, in autunno.
"ma non voglio mica pascolare le pecore, altrimenti me ne resto qui"
dice lei, e giù a parlar male della prigione sul po che è il paese in cui si trovano a vivere con le rispettive madri. una fiera una volta al mese e poco altro. messico e riso, che di nuvole, stanotte, non ce ne sono.
soprattutto ascolto i due ospiti e parlo poco, rivelo giusto che ho solo un anno di kung fu alle spalle, e la passeggera, in un moto di buon senso inquietante, afferma che "tanto potrei avere una pistola", allora accendo la luce interna mentre fruga nella borsa per prendere, dice, il quaderno per segnarmi la strada del ritorno. è vero.
dicono che sono stati in giro per milano, per commissioni, tutto il giorno, la macchina è rimasta parcheggiata chissà dove, di nuovo l'indignazione, niente treni, niente taxi. niente cognizione di tempo e luogo, penso io. ingenuità, stanchezza, ribellione slabbrata, chissà.
dimostrano di conoscere i paesi attraversati, mede, lomello, le chiese restaurate, le piazze illuminate e semideserte. mi imbarazzo a sentire la loro gratitudine, ormai siamo complici e mi sembra naturale. a loro no, e penso a come mi sarei sentito al loro posto, o forse a come si sarebbero sentiti loro al mio, o forse a come ognuno si potrebbe sentire al posto degli altri. ma per un passaggio notturno è forse troppo. mi tengo l'imbarazzo, e decido di credere di essere un uomo "di quelli che non credevamo esistessero ancora". la frase originale era più semplice, in fatto di tempi verbali. ma la ricordo così. lui, che gestisce un ristorante, mi ha promesso un pranzo offerto, e una visita nell'albergo collegato che dice essere molto bello. prima dell'autunno però, e del messico. convintissima, lei decanta l'eccezionale bontà delle di lui pizze.
"ti piace spessa o sottile?"
"sottile"
"ecco..." a sottintendere che non sarei potuto cascare meglio. nella vita, in generale, e in questa squinternata notte, in particolare.
li lascio sotto casa di lei, che estrae le chiavi dalla borsa, un portachiavi di finta pelle come tanti, un palazzo come tanti. saluti. (un fatto significativo: i fortunati cui ho raccontato l'accaduto - in maniera molto meno brillante, s'intende - mi hanno chiesto se avessi ricevuto un "rimborso benzina". io nemmeno ci ho pensato)
giro l'auto, alzo il volume, c'è ancora qualche scampolo coltraniano, frammisto ad interviste in lingua originale, fino alle due. al primo bivio sbaglio strada ovviamente, ma mi riprendo subito, in mezzo a lampi di desiderio improvviso. le donne che conosco e che desidero scorrettamente (ricambiato, sussurro, godendo della solitudine silenziosa, nessuno mi può contraddire) e che vorrei con me in certi momenti per non mandare sprecata tanta poesia sono o troppo lontane, o troppo virtuose, o tutte e due le cose. o sono io che non ci so fare. sorrido. e mando a memoria la poesia.
la marchetta è soltanto rimandata, insieme a tutte le mie piccole e grandi meschinità.

mercoledì 18 luglio 2007

interno d'ufficio con gatta


di nuovo, allo scoccare delle 18, l'ufficio ritrova quella dimensione intima rimasta latente nel corso della giornata bollente, sovrappopolata e mediamente frenetica. la gatta si avvicina e salta sulla scrivania, in modo da poter incrociare il leggero moto d'aria del ventilatore, e si predispone alle pulizie sistemandosi nella cassetta dei documenti, mentre ticchetto sulla tastiera un po' per finire il lavoro - che con la temperatura tende a rammollirsi e ad allungarsi come una gomma da masticare attaccata alla suola delle scarpe - e un po' per scrivere, cercando di non pensare alla mosca che ostinatamente si posa ovunque, senza accorgersi di guastare tutta la poesia del momento. mah.
non smetterei mai di ascoltare nutshell degli alice in chains, lenta e ipnotica, una confessione straziata ma che non riesco a definire banalmente "triste". è vera, ispirata, traboccante d'amore e di pena. si addice perfettamente alla foto qui accanto, scattata da me dall'ultimo piano del Centre Pompidou, nel gennaio 2006.

venerdì 13 luglio, concerto del trio capitanato da Keith Jarrett in piazza della loggia a Brescia.
sullo strascico polemico dovuto all'accaduto ad umbria jazz non mi soffermerò. in rete esiste abbastanza documentazione per farsene un'idea. aggiungo solo che jarrett ha colto l'occasione in questo nuovo concerto, secondo molti, per recuperare gli eccessi donando ben tre bis al pubblico che comunque affollava la piazza.
il viaggio è stato mostruoso, il tratto di A4 è funestato da lavori in corso, un numero di camion impressionante, e l'altissima maleducazione degli italiani al volante ha fatto il resto...tre ore per percorrere il tratto milano-brescia ovest. quindi, graziati almeno nella ricerca del parcheggio, io mia moglie e mio cognato ci siamo fiondati a passo di marcia verso la piazza transennata e picchettata da odiosi sorveglianti che, a concerto già (appena) iniziato, non si sono lasciati impietosire ed umanizzare dal nostro trio vagabondo sventolante i biglietti, per evitare di circumnavigare l'oblungo centro cittadino verso l'ingresso ufficiale ormai deserto...ma tant'è, i posti erano già occupati in rigoroso disordine, quindi, culo a scacchi e orecchie spalancate sulle gradinate. finalmente l'aria fresca, finalmente la piazza silenziosa, le teste accarezzate solo dalle note libere danzanti emanate, letteralmente, dai tre musicisti in unione mistica sul palco. già, i tre musicisti: Keith Jarrett al pianoforte, Gary Peacock al contrabbasso e Jack deJohnette alla batteria. livelli assoluti, un concentrato di storia del jazz e della musica del novecento. un momento da raccontare ai figli ed ai nipoti per chi, come me, a causa di un'età comunque troppo giovane, gran parte dei geni li può e li ha potuti ascoltare solo in registrazione.
il raccoglimento del pubblico mi ha sorpreso, l'attenzione, il respiro. l'unico semaforo della piazza continuava a sgranare le successioni di verde e rosso, ipnotico, finché un velo nero stesovi sopra da qualcuno ha trasformato la piazza in una camera da letto, abat-jour smorzata. le logge appena illuminate, nobili e antiche architetture, una in particolare pareva abitata da eletti a suggerire feste cene e sensualità languida e sfrenata, mentre i fortunati abitanti delle case stavano sui balconi e alle finestre ad assorbire il canto della sera.
la purezza non sterile dei suoni, seguire con la mente e il corpo lo snodarsi delle strade scovate dal genio ispirato, gustare le differenze tra il pianoforte libero di scandire e trasformare temi noti secondo un altro tempo, di precipitare in assoli distillati e cristallini oppure gorgoglianti di anse e cascate, e il contrabbasso logico e melodico, rigoroso e libertino dalla voce pastosa, mentre piatti e tamburi porgevano lo scalino al momento giusto per spiccare il volo o riposarsi a terra un istante. la mia pelle sussultava e ondeggiava come fosse stata d'acqua. forse lo era davvero. quella musica è diventata parte di me, della mia confusione e della mia gioia, che in questi giorni mi perseguitano. di più è difficile dire.

lunedì 16 luglio 2007

strani sguardi

aspetto che la stampante butti fuori le ultime pagine dello studio di settore che mi serve, la carta continua ad incepparsi, la stanza è semibuia per dar sollievo sinestesico dal caldo
caterina mi dice che un fornitore mi desidera al telefono, ma io no e le dico di dire che non ci sono
caterina è una dipendente del mio studio da ormai vent'anni, da quando c'era mio padre
è come una sorella maggiore, se non fosse così taciturna ed educata, così semplice e misteriosa
mi giro verso di lei, che si accinge a "pararmi il culo", come spesso le capita di fare, e non solo a lei, quando si tratta di seccatori, di approfittatori, di intervistatori e/o sfaccendati, di forzati dei call center ecc.ecc.
mi giro verso di lei, che porta sempre i jeans, da quasi vent'anni, le scarpe sportive, una maglietta a mezze maniche di estate, ma poi ha sempre freddo e si mette un maglioncino sulle spalle, così come d'inverno sopra il pullover tiene il giaccone, nonostante i caloriferi a 22/23 gradi.
mi sono girato verso di lei, che mi offriva il suo profilo esile, i capelli castani insolitamente raccolti, perché da ormai vent'anni li porta slegati a lunghezza spalle, senza alcuna acconciatura in particolare, e lei sempre senza un filo di trucco. ai matrimoni dei colleghi, e anche al mio, quasi non la riconoscevo tanto era curata e femminile
il suo profilo esile, con alcuni leggeri ciuffi di capelli a sfilare sul collo sottile, profilo da madonna dipinta del rinascimento, se non suonasse retorico, per lei che di retorico ha potuto vivere poco, un amore nato in ufficio, un matrimonio tanto desiderato - da lui - quanto - sempre da lui - mandato a rotoli con inarrivabili vette di cinismo ed egoismo, ricordo i suoi - di lei - pianti silenziosi, una carezza sulle spalle e un "sai che puoi contare su di noi" che regolarmente riceveva un "grazie" soffocato, e nessun'altra risposta, a volte sin dal mattino rivela una ossessiva tendenza alla precisazione inutile di dettagli, alla petulante discussione di insignificanti questioni, riflesso di chissà quale notte e quale sussurro
è così caterina, un eterno femminino fragile, aggraziato, fermo, penosamente isterilito da una quotidiana rinuncia ai colori, eppure un sorriso timido, o una risata che le impedisce di parlare, ma sempre quasi silenziosa, s'intende, fanno capire che forse va bene così, vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare, disse il Sommo Poeta, che c'è una volontà e forse una ragione dietro tutto questo, che l'amore offeso ha preso altre vie che non conosco e nemmeno m'immagino, che il suo sfiorire di chi non è mai fiorita è un ricamo sul nulla di ogni esistenza, in fondo. forse è felice, forse no, ma di certo caterina sa che qui, in questo ufficio dove è presenza attiva e silenziosa da ormai vent'anni, tutti le vogliono bene, e da tutti avrà conforto quando ne avrà bisogno. fosse anche per una volta sola, magari l'ultima.

giovedì 12 luglio 2007

quotidiana

avevo iniziato a scrivere un post che, lo ammetto, faceva sinceramente cagare (magari anche altri che invece ho pubblicato, si dirà lasciandomi indifferente). l'ho relegato nel limbo delle bozze eterne, un avanzo di balera cui spillare di tanto in tanto una bollicina di ossigeno riciclato.

invece stamattina sono stato all'INAIL (istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) sede di via Boncompagni, zona p.le Corvetto a Milano. ufficio aziende deserto, chiedo conferma, sono sveglio e nel posto giusto. l'impiegato, camicia azzurrina a manica corta, occhiali, accento napoletano, umile e simpatico, non riusciva a collegarsi con il sito, gli comparivano dei pop-up di un sito erotico spagnolo. io dovevo sistemare una pratica bloccata che, così, è rimasta bloccata ed il mio cliente ha perso anche il lavoro che ne dipendeva. a dirlo così non ci si crede. potevo dirgli che aveva perso l'appalto a causa di un sito pornografico spagnolo?

poi ho pranzato vicino a porta Venezia, finalmente da solo, leggendo alcune pagine di Complici ed esecutori di Hitler, un saggio divulgativo quasi cronachistico di Guido Knopp su alcune delle figure per così dire di spicco del terzo reich. sotto gli occhi increduli dei vicini di tavolo. ho preso un antipasto di salame e fichi, sentendomi effettivamente assurdo a mangiare con un nodo allo stomaco mentre leggevo per l'ennesima volta la storiella ributtante delle fughe dei nazisti grazie all'aiuto anche di mamma italia e di mamma chiesa, di Eichmann catturato in argentina dai servizi segreti israeliani, di Mengele invece fuggito di nuovo, dell'insufficienza della legislazione internazionale fino ai processi di Norimberga, e anche dopo, anche oggi, si allargava a macchia d'olio il mio bruciore di giustizia, di giustezza anche, olio santo aiutami tu, mentre rimestavo le linguine al pesto genovese come fossero il nemico da vincere. la banalità del male, la banalità del cibo, la banalità di vedere solo amici e nemici, bene e male, dio e demonio. tornerò sull'argomento, oh, sì.

con ancora il pasto sullo (fuori dello) stomaco, precipitosamente mi sono infilato nel negozio Libraccio, convinto di resistere alla tentazione feticista e bibliofila. solo uno, mi sono detto, sentendomi simile ad un cacciatore di frodo, o ad un golosone a dieta davanti ad un vassoio di pasticcini, ma in fondo molto più innocuo....
sono uscito con un sacchetto pieno, una decina di libri, storia e filosofia, ammucchiati in un batter d'occhio, sconfitto, nell'estasi del drogato appena fatto, triste come a volte capita dopo aver fatto l'amore, smanioso a scontrarmi con l'orologio. non potrò nemmeno più contare sulla pensione per potermi dedicare agli studi e alla scrittura come dico io. avvelenato e sano, risalgo in moto, sudo sotto il casco, cielo ceruleo e solito asfalto molle, appendo il sacchetto rigonfio all'apposito gancetto. mi infilo nel traffico. torno in ufficio. vulcanico e depresso come sempre.

martedì 10 luglio 2007

la cosa chiamata poesia/4

DESIDERI

Come splendidi corpi morti non colti da vecchiaia
racchiusi, tra le lacrime, in fulgidi mausolei,
adorni di rose il capo, di gelsomini i piedi -
così appaiono i desideri ormai svaniti
che nessuno esaudì: neppure uno che avesse
una notte di voluttà o un'alba luminosa.



RITORNA

Ritorna spesso e prendimi,
amata sensazione ritorna e prendimi -
quando si ridesta la memoria del corpo
e l'antico desiderio di nuovo si versa nel sangue:
quando le labbra e la pelle ricordano,
e le mani come se ancora toccassero.

Ritorne spesso e prendimi, la notte,
quando le labbra e la pelle ricordano...



QUANDO SI DESTANO

Sforzati di custodirle, poeta,
anche se è poco ciò che si può trattenere.
Le tue visioni erotiche.
Insìnuale, seminascoste, nei tuoi versi.
Sforzati di trattenerle, poeta,
quando nella tua mente si destano
la notte o nell'avvampo del meriggio.


(Costantino [Konstandìnos] Kavafis, 1863-1933)


Due parole a margine.
Pochi furono capaci di cantare con così tanta sensibilità, profonda partecipazione e dolente consapevolezza il trascorrere degli anni, calendario di poesia e verità, il valore e l'impietoso sfiorire della bellezza, l'inesauribilità del desiderio insoddisfatto, la gioia del piacere, il valore dell'arte e della parola piana che si svela ad un ascolto attento, dopo una lettura e mezza voce, al di là della declamazione e dell'ostentazione. Un tono apparentemente dimesso, che conquista come un suadente canto di sirene.
La letteratura neogreca, grazie alla follia di qualche raro studioso e traduttore, riserva sorprese per l'amante della poesia, e per una vita migliore.

lunedì 9 luglio 2007

quando suono

ieri c'è stata la festa di compleanno di fabio, mi aveva avvisato più di mese fa.
per i suoi quarant'anni, ben portati devo dire, aveva deciso di fare le cose in grande, affittare un'ala di un agriturismo molto bello in brianza, e di metterci dentro dei momenti musicali grazie ai molti amici musicisti presenti alla festa
buon cibo, vino fresco, compagnia di semisconosciuti, ma il giardino era splendido, la vasca con i pesci rossi, il maneggio pieno di cavalli magnifici dal pelo di cera, in mezzo allo splendore milanese una coppia con un figlio intelligente ma gravemente "disabile" fisicamente, in carrozzella, bevevano, mangiavano, ridevano, il ragazzo pronunciava le labiali senza chiudere la bocca, con un battito di denti, curioso mi sono detto, fa come me quando balbetto, a volte; al mio tavolo cercavo di mettere nello sguardo tutta l'umanità semplice che potevo, pregando di non farli sentire troppo osservati o ignorati, insomma "normali", con una storia e una vita dura e ammirevole da mostrare senza vergogne.

poi, qualcuno ha cominciato a prendere in mano gli strumenti, qualche motivetto stentato, gran sudore, forse per il troppo mangiare, e lentamente un gruppetto di jazzisti si è composto spontaneamente. beh, senza farmi pregare troppo ho vinto la mia proverbiale timidezza, che altrettanto proverbialmente svanisce allo scoccare della prima nota, ho imbracciato la chitarra - specifico la MIA chitarra, poiché sono mancino - e mi sono fatto portare da lei, la musica. una volta di più mi sono sentito fortunato a poter prendere in prestito una piccolissima parte dell'immensità della musica possibile, ad assaggiare per un istante il brivido dell'improvvisazione, quel piccolo miracolo che traccia una melodia dove prima non c'era nulla, la sensazione di aver qualcosa da dire, percepire l'attenzione di chi ascolta.
quando suono mi sento vivo, addirittura reale, addirittura prezioso
quando suono non penso, assorbo e rimando, come un grande polmone, come un grande cuore, ringrazio e accetto i ringraziamenti, sapendo che non sono per me, che non sono io.
forse non diventerò mai un musicista o un poeta degno di nota, il lavoro, il matrimonio, o chissà quale "dovere", mi imporranno di interrompere il percorso che ho tenacemente difeso sino ad oggi nell'illusione di mettere la volontà al servizio di un destino, e dovrò ridurlo ed etichettarlo tristemente come hobby, ci penso spesso, e a ripensarci il mio dissidio di sempre esplode rabbioso e irrisolto, il "riposo che ti meriti" fa parte della "crescita" borghese, così come concepita e tramandata da un'istruzione violentemente posta al servizio del produrre, dell'economia, dello sviluppo, del benessere. spero di non cedere all'inganno atroce dell'aridità del possesso che vende il "fare" per il "creare", che mette i figli contro i padri e le madri, che pone la buona esecuzione più in alto della buona ispirazione e il brevetto al di sopra del gratuito. per un istante gusto la ragione, quella spirituale e materiale.
je est un autre. io è un altro, aveva ragione rimbaud. aveva ragione seneca, siamo in prestito, avevano ragione tutti i mistici. infine, hanno ragione tutti e basta, tutti coloro che hanno avuto il coraggio di perdersi, di lasciare, di vincere la nostalgia della partenza per abbracciare la speranza e l'onestà, coloro che vedono la gioia dell'abbandono, non solo il trauma.
ci penso sempre, e a ripensarci mi sento tremendamente fragile, incerto, orgoglioso, spaventato.

martedì 3 luglio 2007

night & day


e così ho scoperto davvero, per la prima volta, quella che è la mia città natale e che, in oltre trent'anni di vita non avevo mai vissuto né percorso in lungo e in largo
quasi oniricamente, quasi selvaggiamente, quasi camminando all'indietro con la memoria attenta e smaniosa, furiosa di volontà di assorbire colori, prospettive, nomi, suoni, consistenze, odori, di riscoprire luoghi e punti di contatto tra racconti e immagini presenti e passate, dentro le voci dei nonni, dei genitori, le voci dei morti e dei vivi
lungo una notte, la famosa o famigerata "notte rosa" sulla riviera romagnola, dedicata a rimini
parcheggio gramsci, ore 18 circa, mollo l'auto, è ancora mezzo vuoto - o mezzo pieno, mi sento ottimista - gli "eventi" cominceranno tra poco
trascino mia moglie lungo le prime strade, sbucando a lato del magnifico Tempio Malatestiano, prima celebrata opera del maestro umanista Leon Battista Alberti cui è dedicata la strada che fa angolo con l'imponente facciata bianca, moderna e metafisica nella sua natura incompleta e frammentaria
le luci di piazza tre martiri sono tinte in rosa, come molte o quasi tutte quelle presenti lungo i 110 chilometri di costa coinvolti nella festa, in fondo l'Arco di Augusto pennellato di luci fucsia come, al lato opposto del corso, il ponte di Tiberio
una birra piccola seduto davanti al chiosco delle informazioni, e sfogliamo il libretto preparato ad hoc con l'elenco di cose luoghi persone da scegliere
le emozioni e i pensieri corrono veloci, le parole si inseguono e si mangiano, dimentico la balbuzie e vorrei essere solo a tuffarmi per la sterile gaudente vita che va sfiorendo e rifiorendo, che va a defluire in rigagnoli di sudore e frasi rubate ai conversatori occasionali che incrocio
cominciamo, troppe gambe, troppi occhi truccati, troppi sorrisi mi sfiorano, troppi tessuti profumati portano via un battito accelerato
ma dentro il Giardino del Lapidario romano cantavano arie ispirate al canto V dell'Inferno, i versi di Paolo e Francesca armonizzati e melodizzati più o meno soavemente da compositori borghesi dell'Ottocento, l'aria tiepida, le voci femminili eteree e di minerale fermezza si riversavano tra le numerose persone attente, già sazie del piccolo aperitivo offerto del quale nel giro di pochi minuti non era rimasto più nulla, io fissavo il tetto dell'ex convento che chiude a sud il giardino, file di mattoni adagiate l'una sull'altra che sembrano morbide come pasta, Paolo e Francesca rapiti a stomaco pieno, poesia da recepire nel borghese appetito passato, poesia dell'aria tiepida e dei tetti di pasta, degli echi e dei canti delle rondini in contrappunto
mi stavo inacidendo e macerando inutilmente
meglio fare due passi con tutta l'indecisione che posso, bocciato il ristorante greco appena fuori dal Museo cittadino, sbircio i prezzi delle case, non si sà mai, il pensiero di trasferirmi riaffiora periodicamente, e mi scaldo le mani sulla pietra bianca ancora calda del Ponte di Tiberio
borgo San Giuliano è stato rimesso a nuovo, decisamente bello, fa venir voglia di suonare ai citofoni e chiedere se si può entrare a curiosare quelle intimità così perfette di terrazzi e piante domestiche rigogliose, luci soffuse, televisioni e stereo a volumi di vacanza
cena alla trattoria da Marianna, che un dio l'abbia in gloria
pesce eccellente, guazzetto di vongole da foto ricordo, per un semplicione in fatto di pesce come me è praticamente il paradiso, mangio gloriosamente, felicemente, arriva un fisarmonicista ad allietare con temi felliniani e l'immortale romagna mia, mi sento giovane e vecchio, felice e fallito, vitellone dai desideri perduti, grottesca copia in minore di un uomo d'altri tempi

eppure il tempo va, e nella conca del porto canale un tizio con la barba colorata di rosa a cui non si attaglia l'immagine di Caronte offre delle barchette per navigare in tondo come criceti marini, tra i cigni a riposo che a riva ripassano le piume, fino a superare il ponte nelle luci della sera avanzata che ormai è notte, io e mia moglie, ex fidanzati, alle prese con un amore dai contorni sempre meno familiari che fatichiamo a riconoscere, le alghe spente e odorose nell'acqua immota mi danno pena, ma a vogare me la cavo bene

un poeta parlava del suo cranio smerigliato dall'interno dal vorticare dei pensieri, e questa notte potrei essere io, pateticamente combattuto tra finti desideri e finte realtà, tracce luminescenti di intuizioni subito svanite, solitudine o no è il refrain senza sosta
il vino bianco ingerito da poco chiama una nuova pausa, in piazza Cavour al caffè teatro chiamo un cuba libre che mi assesta un duro colpo, sotto la tettoia della vecchia pescheria un quartetto suona a tutto volume classici psichedelici e rock anni '60/'70, immigrant song, foxy lady, love me two times, black night, mi accorgo di parlare pochissimo sopraffatto dall'ascolto e dal dibattito forsennato e silenzioso di ricordi e sensazioni
nel cortile del castello di Sismondo fanno letture di poemi medievali, lettrici di bravura scintillante dipanano ottave dal sapore ariostesco con ritmo e variar di toni mentre sulle mura si proiettano mappe antiche, cavalli e cavalieri, miniature e bassorilievi, incipit e colophon, e così ci perdiamo i fuochi d'artificio in contemporanea lungo tutta la costa
da qui è tutto un camminare senza sosta, verso marina centro, sul lungomare, dove suonano dal vivo musicisti italiani, dove i locali sono spalancati e affogati di corpi tremolanti, squarci di alcol e canti sguaiati, è ora di un gin tonic, col bicchiere pieno di gin, e quasi mi risveglio
cosa cercano tutti? di cosa parlano? cosa pensano? più facile scoprirlo in loro che in me. qualche frase sincera e un sorriso, il bagno nudi, un bacio, guardarsi e toccarsi senza impegno, sfogare le fiamme del desiderio che non è l'inferno, è la vita gratuita, mingus voleva salvare il mondo con le puttane, anti-ipocrite, che conoscono davvero gli uomini, che hanno lo sguardo fermo dei bambini, il re è nudo anche per loro, e chi vince vince, chi perde perde, felici i felici

la notte finisce alle quattro e mezza sulla spiaggia di marina grande a viserba, momo in concerto sotto i bagliori di madreperla dell'alba, la bassa marea scopre nostalgicamente una schiena di sabbia bagnata, in piedi sugli scogli insieme ai gabbiani qualche monaco mancato aspetta il sole, noi sdraiati sui lettini applaudiamo le musiche malate del nuovo giorno che riassorbirà presto i suoi traumi, cinque e mezza, sei e mezza, che riassobirà presto i miei dubbi amorosi sprofondandoli nell'ultimo bombolone alla crema, davanti alla stazione, riconteggio il passato accumulato, ho vissuto, non ho vissuto, bar otto e trenta, domenica mattina
a rimini, signori, si sale e si scende come dappertutto