venerdì 5 dicembre 2008

la chiamano "libridine"...

gli scaffali di poesia, da qualche tempo, vanno assomigliando sempre più a quei ripiani di cucina nelle case delle nonne, piene di piatti e zuppiere di ceramica in forme floreali e colori vistosi.
le copertine sono spesso così, indici di sentimentalismo semplice, di saggezza inerte e a buon mercato, di ritraduzione infinita dove ormai il lavoro artistico e ispirato è consunto, liso, e lascia intravvedere le trame grossolane di un orizzonte limitato, in cui gli stereotipi rubano la scena alla verità.
e, quel che è peggio, quegli scaffali sono insopportabilmente tristi.
la poesia che non è più, se mai lo è stata, strumento di conoscenza, bensì surrogato condensato di romanzi rosa, metadone di libidini travestite da "romanticismo". una collazione di incarti dei celeberrimi baci perugini, insomma (e per farla poco lunga).
neruda, la merini e "l'amore" la fanno da padroni, persino i loro rigetti vengono editati e catalogati tra i capolavori, dopo la "raccolta" di ligabue e prima del più trito prévert, ridotto all'ombra di se stesso.
le gioie più grandi mi vengono allora, per fortuna, dai negozi che vendono libri usati o "remainders", dove posso coccolarmi e sorprendermi aggirandomi come in trance davanti a libri altrimenti introvabili o razzisticamente troppo costosi.
ultime gemme scovate, le poesie di Delio Tessa e di Marianne Moore, volumoni carnosi e caldi come una stretta di mano, gonfi di speranza e di desiderio, speranza e desiderio di parole nuove, di intuizioni e verità che rendono l'attesa inebriante.