giovedì 21 giugno 2007

cronaca di una serata annunciata

da quanto tempo conosco gabriele, mi chiedo mentre finisco di prepararmi? non porto nessuno spray antizanzare, mi farò bastare la birra.
mah, saranno almeno tredici anni, finito il militare, frequentando per la prima volta in vita mia una palestra, di quelle scassate delle scuole medie però. istantaneamente siamo diventati come fratelli. a volte gemelli, se non fosse che lui è sempre stato asciutto come un'acciuga e con capelli fittissimi, invece io più morbido e platealmente stempiato. a quel tempo io invidiavo i suoi addominali scolpiti, e lui mi invidiava le gambe e le braccia muscolose per puro caso e costituzione.
a quel tempo, del resto, credevamo anche che questi particolari significassero successo con le ragazze, ma poi si rivelava necessario anche parlare, così la nostra natura aliena finiva per creare quasi sistematicamente il vuoto. in più bonaventura balbettava (e balbetta ancora, seppur in misura molto minore), il che non deponeva in suo favore presso le amate forme, amate immortali, bellissime dame, oggetto di scrittura poetica...

tredici anni, passati in un soffio, tredici anni son tanti e diciamo, un po' retorici, che sembra ieri, come cantava guccini, ma per lui erano venticinque. jeans e maglietta, che gli esperti mi dicono chiamarsi "serafino", rossa, sto anche bene, mia moglie mi fa una scenata semischerzosa dicendomi di fare il bravo, mi pento per un attimo di essermi sposato ma anche di essermi spossato troppo tardi, che sono già in auto. ci troviamo davanti al "castello" di abbiategrasso, che si dà arie di città ma è un paese, carino anche, ma che si dà arie di frenesia viveur e metropolitana. beh, io e gabo ce ne freghiamo come al solito, e optiamo per un classico pub con tavolini all'aperto. camminiamo sul porfido, tra gruppi di immigrati seduti su panchine e gruppi di giovani veri e meno giovani non rassegnati, indigeni, che chiocciano tra auto aperte a stereo acceso, tutti a caccia di femmine, tutti con la bottiglia accanto.
l'aria è calda ma non sudo, respiro gli odori dell'estate, gli odori dell'asfalto, gli odori di benzina e i profumi delle ragazze, il solito groviglio che smaschera il tempo, e parliamo, ci raccontiamo le nostre mezze verità, riconosciamo subito l'invenzione e ci mettiamo a ridere. con gli altri non c'è gusto, troppo facile. la birra è un po' troppo forte per la mia voglia di bere, ma la finisco, come trangugiare fango fresco, e prendiamo due porzioni di patatine fritte mentre si parla della fitness-mania. secondo giro birra chiara, meglio. mi sento bene, allegro, nonostante le sue disavventure sentimentali, nonostante la pessima giornata appena trascorsa, glielo dico che mi viene da ridere anche se la ragazza lo ha mollato all'improvviso, gli dico anche che ha fatto bene, lui è seriamente d'accordo e ridiamo insieme per tutti i tredici anni che sono passati e non ci hanno divisi. non ancora. parliamo per un paio d'ore, della nostra passione per la poesia e del tenerla viva ogni giorno, di sesso che ridendo vorremmo ogni giorno insieme alla poesia ma ci si accontenta, di zanzare che forse non sono poetiche ma a volerle barattare col sesso saremmo a posto, di naturopatia, di tasse, di musica, di arte, di lavoro, di incertezze. la vita sembra quasi ricomporsi una volta per tutte, impomatata ma con un filo di disordine, inattaccabile e quindi perfetta. la mia pena è durare oltre quest'attimo (mario luzi).
quasi non mi accorgo di salutarlo con un abbraccio, noi che nonostante tutto abbiamo acquisito il pudore degli affetti, non mi accorgo di essere stanco, non voglio essere stanco, anzi. passo davanti alla corte dove abitava una mia ex, che ora lavora chissà dove, per un attimo ripercorro la casa su due piani, il parquet scuro, lo stereo sempre acceso e l'odore del camino, tre giorni senza mai uscire, mi si riforma un buco nel ventre ma riesco a non pensarci. c'è sempre qualcosa che non torna, ma che qualcuno preservi queste piccole follie, mi dico.

li rivedi, i volti dei tuoi amici,
cresciuti, stanchi, mai uguali
nella ricerca che non sanno -
e a volte qualcosa accende
la madreperla opaca delle fronti,
l'onda, il ricordo, il futuro,
le belle labbra del destino
mentre il cameriere sparecchia rapido

li rivedi, e tu con loro, cresciuto e stanco -
tutte le ferite richiuse -
a pregare che non finisca così
prima di aver capito

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Non che non mi abbia strappato una lacrima: questo pezzo é davvero affascinante.
La lacrima é quella che testimonia il ritrovare le facce care e conosciute un po' sfiorite durante il rientro sporadico nella terra d'origine.

virginie ha detto...

chissà. circa un anno fa ho rivisto un amico, fraterno in un tempo lontanissimo, che non vedevo da dieci anni. ho raccolto lo stupore che mi ha regalato nel constatare che ci si parlava come allora, come se ci fossimo sempre frequentati, come se le nostre vite non fossero così lontane da com'erano. una sola cosa mi ha fatto un po' male: la sua rassegnazione ('ho quello che volevo', 'certo, i bambini', 'sai, mia moglie' e similia). ma l'aliena, tanto per non cambiare, sono io: che ancora non ho capito cosa voglio, ma penso sempre ci sia lo spazio e il tempo per scoprirlo e raggiungerlo.
a margine: ai miei occhi milanesi abbiategrasso è sempre sembrata decisamente bella.

Gianluca ha detto...

grazie dei bei commenti.
lentamente ho imparato a rifiutarmi di credere agli "ora o mai più". non che ci riesca sempre, ma ci provo. la rassegnazione ti coglie di sorpresa...ma sentirmi soddisfatto, sazio, ahimé, credo non accadrà mai neppure a me. capire cosa non si vuole e rifiutarlo sarebbe già abbastanza.

Gianluca ha detto...

avrei potuto essere più chiaro...ma perché? ah, virginie, "viveur" riferito a "frenesia" che è femminile me lo passi per buono o no?

virginie ha detto...

mi sa che non ho più autorità di auramaga in merito